ASCOLTANDO ZIO VANJA

vanjaAscoltando zio Vanja

da Anton Cechov
progetto, regia e interpretazione di Roberto Azzurro
consulenza drammaturgica di Gianmarco Cesario

ZIO VANJA: «Oh, sì, ero una personalità luminosa, che non illuminava nessuno… Ero una personalità luminosa… Adesso ho quarantasette anni e la notte non dormo dalla stizza, per il rammarico di essermi lasciato scappare il tempo in cui avrei potuto avere tutto ciò che adesso mi rifiuta la mia vecchiaia
Basterebbero queste poche righe a chiarire chi è e cos’è Zio Vanja e la poetica tutta di Anton Cechov. Il “motivo” di Cechov gira intorno a una parola dolce e al tempo stesso tragica: nostalgia.
Ecco.
Un’idea di nostalgia che, più precisamente, può suonare in questo modo: “quello che poteva essere e non è stato”.
Ecco.
Questa sorta di irrisolutezza, vitale, mai mortuaria, che dà comunque l’agio sentimentale di poter sperare fino alla fine, che qualcosa, anche nell’ultimo istante di vita possa cambiare.
In “Ascoltando Zio Vanja” è proprio Ivan Petrovic Vojnickij che si racconta tra le mura di quella casa  per la quale ritiene d’aver sacrificato la propria esistenza. Ma davvero quella casa e l’amore per la perduta sorella sono i motivi che lo hanno spinto a non vivere? O forse sono essi il paravento dietro cui si è nascosto per quell’assenza di coraggio e quel presuntuoso senso di infantile immortalità che pervade i grandi personaggi cechoviani, che li porta, piuttosto che a crescere, ad un immobilismo quasi autodistruttivo? Ivan, o zio Vanja, come lo chiama teneramente la nipote Sonja, anch’essa autocondannatasi a condividere la sua stessa sorte, vive (o rivive) la sua storia, ancora una volta solo con il suo dolore esistenziale che egli esprime attraverso rimpianti e recriminazioni, intorno a lui il vuoto, che egli stesso, come in un delirio infinito, colma con quelli che sono i fantasmi delle sue paure limitative che egli personifica negli altri abitanti della sua casa/prigione.
(Roberto Azzurro)