un monologo di Raffaello Baldini
con Stefano Jotti
Un personaggio un po’ matto, che colleziona i più assurdi oggetti del passato, è preso ossessivamente dall’idea di dar vita a una fondazione che tenga viva la memoria delle cose più sfuggenti: i pensieri; non quelli grandi dei poeti e dei filosofi, che tanto a questi ci pensano già i libri, ma quelli che vengono a tutti quanti in qualche momento della giornata, e sembrano tanto acuti, e poi spariscono nel flusso della vita.
“…tutto quello che io ho raccolto in una vita… i miei sentimenti, il mio mondo, perché io volevo lasciare un segno, che la mia vita durasse, e tutte queste cose io volevo che fossero come dei testimoni, no, non dei testimoni, perché tutta questa roba è passata per le mie mani, sotto le mie mani, in un certo senso le ho dato una forma, sono una parte di me, che doveva durare più di me, qui non è che uno rinasce, e poi rinasce e poi rinasce, come dice quel coglione, qui è che non muori, fintanto che ci rimane una sedia, una cravatta, una bottiglia d’ inchiostro, vuota, sì, ma una bottiglia d’inchiostro che l’hai adoperato tu, che hai scritto tu, fintanto che ci rimane una cartolina che ti ha mandato un amico venti trent’anni fa… le chiavi vecchie che non aprono più niente, ma ti hanno aperto tutto…”
La Fondazione è uno spettacolo sulle cose che svaniscono e sul desiderio di conservarle: non a caso è stato scritto durante l’ultimo periodo di vita dell’autore.