DISTURBI DI MEMORIA

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drammaturgia di Manlio Santanelli
regia di Renato Carpentieri
con Mario Porfito e Lello Serao

Due uomini sulla cinquantina: l’uno riservato, l’altro prodigo della propria intimità, l’uno attento a non offendere il comune senso del pudore, l’altro capace di pensare e dire soltanto cose spudorate; l’uno morbosamente geloso dei ricordi, l’altro pronto a metterli all’asta. Anche nella professione i due non potrebbero essere più dissimili, più antitetici, dal momento che il primo un tecnico del diritto, uno stimato penalista che trasuda rigore e deontologia, mentre il secondo commercia in prodotti non meglio identificati, e trasuda, trasuda alla lettera.
Due tipi come questi, presi separatamente, ancora non sarebbero in grado di dare vita a un caso la vita bella perché avariata, si diceva nell’avanspettacolo se il caso non congiurasse opportunamente per farli incontrare. O meglio rincontrare.
La premessa della vicenda, in verità delle più plausibili: il Riservato e lo Spudorato a suo tempo sono stati compagni di scuola. L’occasione per cui si ritrovano, magari, un tantino più inconsueta: lo Spudorato, approfittando di una coincidenza aerea, un pomeriggio riemerge dal tempo che fu e si presenta dal Riservato.
E con quella breve visita gli manda al diavolo non soltanto il pomeriggio. Chi conferisce a Severo, esorbitante uomo d’affari non meglio identificati, il diritto di piombare come un turbine sull’incolore esistenza di Igino, avvocato di piccolo cabotaggio, e di spazzarne via le fragili impalcature che la sorreggono? Non il comune passato di studenti, in grado di giustificare tutt’al più una rimpatriata all’insegna della nostalgia per il tempo andato. Tanto meno un movente professionale, in quanto mai due traiettorie esistenziali potrebbero essere più divergenti. E neppure il pretesto, addotto da Severo, dell’intervallo di un paio d’ore tra un volo e l’ltro. A ben riflettere, sbagliata la domanda iniziale. Severo non è tipo da porsi questioni di legittimità prima di irrompere nella vita altrui, Severo, diritti simili, se li prende e basta. Dagli uomini come dalle donne. Dalla vita come dalla morte.
E allora passiamo a chiederci: chi conferisce a noi il diritto di accostare tra loro due personaggi così dissimili? La risposta, in questo caso, delle più semplici: il divertimento. Il divertimento, a teatro, fine che giustifica qualche mezzo, purché leale: (leggi di buon gusto).
Di diritto in diritto ma sarebbe più giusto dire “di palo in frasca” – ci viene spontanea un’ulteriore domanda: che diritto si ha di proporre, a distanza di non molti anni, un testo che ha già avuto un lusinghiero riscontro di pubblico?
E’ la nostalgia, quella stessa nostalgia che da sola non arriva a giustificare la visita di Severo a Igino? O forse non sappiamo come ingannare il tempo tra un volo e l’altro? Meno timidi dell’avvocato Igino, ma più timorati dell’affarista Severo, riteniamo che la ripresa di un testo messo in scena altre volte, soprattutto se con un certo successo, possa rappresentare un esempio di controtendenza rispetto alla perversa pratica dell’evento unico, che oggi impera un po’ dappertutto, con particolare virulenza nella sfera degli accadimenti culturali. Un teatro di repertorio non poi una calamità da scongiurare a tutti i costi. In paesi teatralmente più floridi esiste e di suoi frutti.
Per concludere, con buona pace del Signor Gillette, che si conquistò la gloria presso tutte le vittime del rasoio a mano libera, ma che resta pur sempre l’introduttore del deprecabile costume dell’”usa e getta” noi crediamo che il teatro, quando funziona, non si spunti nel “monouso”. E’ rasoio e non lametta, e può in un nuovo allestimento incontrare arrotini capaci di riaffilarlo come e meglio di prima.
(Manlio Santanelli)