LA SOLITUDINE SI DEVE FUGGIRE

solitudineLa solitudine si deve fuggire

di Manlio Santanelli
con Federica Aiello
regia di Fabio Cocifoglia

Qual è la motivazione che induce Eufemia di Frattocchie, matura professoressa di Storia dell’Arte, ad una pubblica confessione, un non richiesto “auto da fe”? La spiegazione ha un suo movente “preciso”, che “preciseremo” a breve.
Intanto, ci preme ricordare che gli atti di “visigotismo”, ossia gli infierimenti sulle opere d’arte, il più delle volte sono compulsivi, dettati da una patologica insofferenza per la bellezza, quali che siano le forme da questa assunte. Colto da una vertigine iconoclasta, il “visigoto” non resiste alla tentacolare tentazione di sfigurare l’opera, distruttore in competizione con il creatore, spinto da una parossistica visione dell’antinomia bello-brutto, in obbedienza della quale il bello deve pagare una sorta di “pizzo” al brutto.
Ma, di converso, l’affronto al capo d’opera può essere del tutto casuale (quando, per assurdo, non è voluto dall’opera stessa, che sembra dire “sfregiami”). È questo il caso della professoressa Eufemia che, in visita ad un capolavoro della scultura etrusca, l’Apollo di Frattocchie, in un momento di estatica contemplazione si ritrova nella mano un pezzo niente affatto secondario del mirabile reperto archeologico.
E che lei, l’onorata insegnante, si voglia confessare non dipende soltanto da quell’inconveniente, per il quale non ha da imputarsi nessuna colpa, ma piuttosto dall’ospitalità che a quel frammento va ad offrire per il resto dei suoi giorni di irriducibile zitella.
Se poi il suo cognome corrisponde a quello dell’Apollo, la coincidenza non è casuale, ma proviene dallo sviluppo della vicenda messa in scena, sviluppo che in questa sede lasciamo sospeso. Ne consegue che il curioso di turno non potrà soddisfare la sua curiosità se non assistendo allo spettacolo.
(Manlio Santanelli)