Liberamente tratto da Il giunco mormorante di Nina Berberova
adattamento e regia di Linda Dalisi
con Valentina Vacca
aiuto regia Francesca Giolivo
Abbiamo scelto di lavorare su Il giunco mormorante di Nina Berberova perché è allo stesso tempo un’opera delicata e potente in cui si intrecciano i pensieri di una donna e il peso della memoria, la storia d’amore e il totalitarismo che tutto schiaccia.
Sullo sfondo della guerra, infatti, e dei regimi che cancellano le identità degli uomini comuni e le inutili lotte dei poeti, si svolge la storia della protagonista, vittima di un totalitarismo più privato e quotidiano: quello che, quasi a suggerire un gioco di specchi, schiaccia l’uomo e ne impedisce le scelte e la felicità.
“Esiste, per ciascuno di noi, una “No man’s land” – dice la Berberova – in cui ognuno è totale padrone di se stesso. C’è una vita a tutti visibile, e ce n’è un’altra che appartiene solo a noi, di cui nessuno sa nulla. Ciò non significa affatto che, dal punto di vista dell’etica, una sia morale e l’altra sia immorale, o, dal punto di vista della polizia, l’una lecita e l’altra illecita. Semplicemente, l’uomo di tanto in tanto sfugge a qualsiasi controllo, vive nella libertà e nel mistero, da solo o in compagnia di qualcuno, anche soltanto un’ora al giorno”.
Nel rispetto del testo e della poetica della Berberova ci siamo interrogate sul centro di questa opera proiettando la ricerca sul lavoro d’attore solo in scena, cercando di non perdere di vista il racconto lieve e amaro che è anche un sottile apologo sull’amore e la libertà scritto come una memoria, a voce sola. Una voce di donna.
Da un lato la ricerca sulla parola narrativa e su come renderla viva a teatro quando il ricordo viene mosso, dall’altro la ricerca di una parola poetica che diventa la parola scelta per affondare nel ricordo e riviverlo sul proprio corpo. Cercando di restituire carne e respiro ai sentimenti che di volta in volta traboccano nell’anima di questa donna.
Perché con ogni addio puoi imparare a piantare il tuo giardino e a decorare la tua anima.
Una riflessione su come l’amore abbia a che fare con l’insensato e il venir meno , su come dire addio a qualcuno che amiamo significhi certamente dire addio a una parte di noi, e su come imparare a ricostruire la propria identità comporti il difendere la propria libertà e il proprio mistero che è anche quello dell’altro. Scoprire questo, anzi ricordarselo, per non dimenticarlo più, sembra essere oggi, nell’era del controllo, una Possibilità.
L’attrice in scena danza con le immagini create dal suo stesso gioco di equilibrio sul confine tra presente e passato, ricordo vissuto e futuro inventato, memoria presente e vita sparita nel nulla. Le immagini disegnate diventano una chiave, motore, strumento; come parti del corpo stesso dell’attore, e quindi perfettamente in grado di aiutarlo a comunicare la sua ribellione. La protesta inizia col primo gesto, la prima parola, il primo mormorio della scena.